2 aprile 2021

La diffusione della banda ultralarga è fondamentale al Paese, l’aumento dell’esposizione no.

In Italia si discute sempre di più della necessità di innalzare i limiti di legge in tema di elettromagnetismo per cogliere appieno le potenzialità dello sviluppo della tecnologia 5G. Eppure non esiste nessuna ragione tecnica, se non quella economica, per farlo. Esistono invece ragioni sanitarie, anche ormai piuttosto evidenti, per evitare che questo accada. Per questo chiediamo al Governo italiano di mantenere inalterati i limiti vigenti.

Condividiamo la necessità di digitalizzazione del nostro Paese: l’emergenza Covid-19 ha fatto emergere con forza il problema cronico dell'Italia legato al cosiddetto digital divide. Criticità che ha messo a dura prova la possibilità di accesso ai servizi telematici in molte parti del Paese, a partire dal mondo della scuola e del lavoro, mettendo in evidenza disuguaglianze tra territori e persone che rischiano di diventare incolmabili.

La diffusione della banda ultralarga su tutto il territorio nazionale, sia con la fibra che con il 5G, è fondamentale per colmare questa lacuna intollerabile, ma questo deve avvenire senza alcuna modifica della Legge Quadro 36/2001 sui limiti di esposizione e di attenzione cautelativi di fronte ai rischi sanitari che invece interverrebbero con un loro aumento.

Secondo Legambiente, l’avvento della tecnologia di quinta generazione è importante, ma impone un approccio fortemente cautelativo, in linea con le evidenze scientifiche. Legambiente ha scritto ai ministri e ha lanciato una petizione al Governo per chiedere da un lato di sviluppare il 5G attuando il principio di precauzione, senza modificare i limiti di esposizione oggi previsti dalla normativa italiana, dall’altro di tornare alla precedente metodologia di misurazione, investendo nella ricerca epidemiologica indipendente sulle onde millimetriche e facendo un’adeguata campagna di informazione sui rischi connessi a comportamenti scorretti dei cittadini nell’uso del cellulare.

Tra i primi firmatari che hanno sottoscritto la petizione, Stefano Ciafani, presidente di Legambiente; Pietro Comba, del Collegium Ramazzini; Fiorella Belpoggi, direttrice dell’Istituto Ramazzini; Roberto Romizi, presidente di ISDE; Rosalba Giugni, presidente di Marevivo, Fausto Bersani Greggio, fisico e consulente della Federconsumatori della Provincia di Rimini.

In fatto di digitalizzazione l’Italia si conferma tra i fanalini di coda in Europa: secondo l’indice Desi 2020 elaborato dalla Commissione europea, infatti, il Belpaese è al venticinquesimo posto tra gli Stati membri Ue. Fanno peggio soltanto Romania, Grecia e Bulgaria. Digitalizzare l’intero territorio nazionale – comprese le aree montane e i piccoli Comuni che più di altri pagano una carenza di servizi e infrastrutture adeguate e di accesso alla rete – è dunque una priorità, come evidenziato anche dall’emergenza Covid-19. A patto, però, che vengano messe in campo tutte le attenzioni possibili nella diffusione della banda ultralarga e nello sviluppo delle tecnologie correlate.
Alcuni studi recenti. La Monografia 102 del 2013 dell’Agenzia Internazionale per la Ricerca sul Cancro (IARC) di Lione definisce i campi elettromagnetici a radiofrequenza come “possibilmente cancerogeni per l’uomo” sulla base di diversi studi sul rischio di tumore cerebrale per gli utilizzatori di telefoni cellulari. La IARC ritiene “credibile” questa relazione di causa ed effetto, sebbene al momento non possa escludersi il ruolo di fattori alternativi. Altri due recenti esperimenti di laboratorio eseguiti dal National Toxicology Program negli USA e dall’Istituto Ramazzini di Bologna hanno mostrato eccessi di rischio per i tumori del sistema nervoso a livello cerebrale e cardiaco con esposizioni prolungate a 50 V/m: da qui la necessità della IARC di includere fra le sue priorità per il 2020-24 una nuova valutazione del rischio di cancro associato ai campi elettromagnetici a radiofrequenza. I risultati dei recenti studi sperimentali, che confermano una tendenza a mostrare criticità ad alte esposizioni (50 V/m) per un elevato numero di ore – comparabili a quelle permesse nei Paesi europei – hanno creato del resto un forte allarme tra i cittadini, in concomitanza con gli annunci sulla diffusione del 5G in Italia. Tanto che le loro preoccupazioni della cittadinanza, unite alle più recenti mobilitazioni, hanno portato diversi sindaci a rifiutare la sperimentazione della nuova tecnologia sul proprio territorio: secondo il comitato Alleanza Italiana per lo Stop al 5G, sono 600 i Comuni o enti italiani ad avere adottato provvedimenti contrari, mentre la sperimentazione è già stata avviata in 120 città italiane.

Che cosa chiede nel dettaglio Legambiente - Vista la già accertata pericolosità ad alte esposizioni per lunghi intervalli di tempo delle frequenze finora utilizzate per la telefonia mobile, simili a quelle che verranno utilizzate per il 5G (700 MHz e 3600 MHz), Legambiente chiede:
• che si mantengano i valori di attenzione cautelativi per i valori di campo elettrico di 6 V/m, entro i quali gli studi sperimentali non hanno osservato effetti avversi;
• di rivedere l’art. 14 del Decreto Sviluppo “Ulteriori misure urgenti per la crescita del Paese” prevedendo che la misurazione dei campi elettromagnetici passi dall’attuale media di 24 ore a quella dei 6 minuti nelle ore di maggior traffico telefonico;
• una ricerca epidemiologica, indipendente e sperimentale, sulle onde millimetriche del 5G a 26 GHz per approfondire i possibili impatti sulla salute di questa particolare frequenza;
• di promuovere nei Comuni l’adozione di regolamenti dedicati per localizzare le antenne.

A cura della Commissione Inquinamento Atmosferico ed Elettromagnetico di
LEGAMBIENTE TOSCANA APS - ONLUS
Ref. Michele Urbano – aria@legambientetoscana.it
FIRMA (E FAI FIRMARE) LA PETIZIONE CONTRO L’INNALZAMENTO DEI LIMITI DI ESPOSIZIONE

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