L’analisi dei dati raccolti grazie alla precedente richiesta di accesso civico conferma le preoccupazioni espresse da tempo dal Circolo di Legambiente. Dal 2005 al 2022, dalle 76 cave attive analizzate sono state estratte oltre 68 milioni di tonnellate di materiali: solo il 22,8% sono blocchi di marmo e ben il 77,2% detriti, in evidente contrasto coi principi stabiliti dal PIT-PPR

Sono una decina le cave con una resa in blocchi inferiore al 10%.

Sorvegliata speciale una delle cave più grandi,

da cui sono stati estratti per il 91% detriti e che dovrebbe essere dismessa

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https://www.legambiente.it/wp-content/uploads/2024/05/monitoraggio-cave-di-marmo-Carrara_report-1.pdf

La Direzione Nazionale di Legambiente, in accordo con Legambiente Toscana e il Circolo di Carrara, ha formalizzato una nuova richiesta di accesso civico al Comune di Carrara per conoscere, finalmente, la verità sullo stato dell’arte delle cave di marmo attive sul territorio. La precedente richiesta, fatta dal circolo locale di Legambiente, era stata oggetto di un lungo contenzioso al termine del quale erano stati comunicati solo i dati relativi alle attività estrattive per il periodo 2005-2022 senza alcuna indicazione, per ciascuna cava, sulla società titolare e sulla sua localizzazione. La scelta dell’anonimato ha di fatto impedito di poter svolgere una valutazione pubblica e trasparente sulle modalità di gestione di un settore particolarmente delicato dal punto di vista dell’impatto ambientale.

L’azione formale che abbiamo intrapreso questa volta come Direzione Nazionale verso il Comune di Carrara – affermano il presidente nazionale di Legambiente, Stefano CIAFANI e quello di Legambiente Toscana, Fausto FERRUZZA – ha un duplice obiettivo: aggiornare al 2023 i dati sulle attività estrattive, ma soprattutto conoscere, per ogni cava, quale società la gestisce, così da poterla localizzare. Si tratta di informazioni indispensabili per consentire una valutazione pubblica sulla produttività dei giacimenti e avanzare così proposte di pianificazione, in grado di ottimizzare i benefici economici e ridurre al minimo gli impatti ambientali, nel rispetto di quanto previsto dagli stessi Piani regionali vigenti. L’appello che lanciamo al Comune, nell’interesse delle Alpi Apuane, delle aziende che operano rispettosamente sul territorio e dell’intera comunità, è di non lasciare inevasa questa ulteriore richiesta di trasparenza”.

I dati raccolti grazie alla precedente richiesta - curata dal circolo di Legambiente Carrara - confermano le preoccupazioni espresse da tempo dall’associazione sull’effettiva sostenibilità ambientale, sociale ed economica, del comparto. Nelle 76 cave attive analizzate da Legambiente, è stato estratto tra il 2005 e il 2022 un totale di oltre 68 milioni di tonnellate di materiali (68.406.908), di cui soltanto il 22,8% è composto da blocchi di marmo e ben il 77,2% da detriti (utilizzati perlopiù nell’industria del carbonato di calcio). Sono addirittura una decina le cave con una resa in blocchi inferiore al 10%. Numeri che sollevano dubbi sulle autorizzazioni concesse sulla base del vigente Piano di Indirizzo Territoriale con valenza di Piano Paesaggistico Regionale (PIT-PPR), che avrebbe dovuto garantire una pianificazione delle attività estrattive orientata allo sfruttamento razionale della risorsa marmo, nell’interesse della comunità. Sorvegliata speciale una della cave più grandi che dovrebbe, per Legambiente, essere dismessa: da questa, in 18 anni, sono state estratte oltre 4 milioni di tonnellate di materiali (4.243.570), di cui appena l’8,58% sono blocchi di marmo e oltre il 91% detriti.

I dati del dossier. Dall’analisi di statistica descrittiva condotta, che considera il periodo 2005-2022, Legambiente ha scartato 28 cave (circa 1 milione di ton. sul totale di circa 70 milioni) per incompletezza dei dati, eseguendo l’elaborazione sulle restanti 76 cave attive. Queste sono state suddivise in piccole (5.000-25.000 t/anno; 34 cave), medie (25.000-75.000 t/anno; 24 cave) e grandi (oltre 75.000 t/anno; 18 cave). Tra le cave piccole ben 4 sono quelle che risultano aver lavorato senza estrarre nemmeno un blocco, in palese violazione del PIT-PPR. Ma anomalia ancora più preoccupante deriva dalle due cave più grandi (la n.1 e la n.10), entrambe con oltre 4 milioni di tonnellate totali di materiale estratto. Mentre la prima ha un’ottima resa media in blocchi (38,8%) e rappresenta una buona pratica, la n. 10 (presumibilmente a causa dell’elevata fratturazione del marmo) ha una resa in blocchi solo dell’8,58% e oltre il 91% di detriti. Non solo quindi un’attività non autorizzabile secondo il PIT-PPR, ma che dimostra anche il non rispetto da parte dei PABE (Piani Attuativi di Bacino Estrattivo) di Carrara della norma del PRC (Piano Regionale Cave, art.26, comma 5) che recita: “Nell’individuazione dell’area a destinazione estrattiva, il comune tiene altresì conto di uno sfruttamento razionale del giacimento e di valorizzare la risorsa lapidea privilegiando le porzioni di giacimento maggiormente produttive”.

Alla luce di ciò, secondo Legambiente, sarebbe molto più conveniente dismettere la cava più improduttiva (la n. 10) ed estrarre dalla sola cava n. 1 l’intera quantità di blocchi finora ricavata dalle due cave (2.065.461 ton), riducendo così il danno alla montagna: sarebbe infatti sufficiente escavare 5.323.353 di t (anziché 8.628.191 t), evitando l’inutile abbattimento di 3,3 milioni di tonnellate (ridotte interamente in detriti).

Analisi e valutazioni che potranno essere molto più dettagliate, anche alla luce della paventata proposta di aprire nuove cave nel territorio del parco regionale delle Alpi Apuane, se il Comune di Carrara risponderà positivamente alle richieste del Cigno Verde.